di Emiliano Giovine e Giuseppe Taffari, Partners RPLT- RP Legalitax. 

Contenzioso climatico: dall’advocacy all’azione legale 

Il contenzioso climatico (c.d. climate change litigation) sta attraversando una fase di consolidamento giuridico senza precedenti, transitando da un piano di mera advocacy a quello della concreta azionabilità legale. Nel luglio 2025, due pronunce fondamentali, una nazionale e una internazionale, hanno ridefinito i confini della responsabilità di Stati, investitori pubblici e grandi imprese carbon-intensive.

La prima, Ordinanza n. 20381 della Corte di Cassazione italiana, depositata il 21 luglio 2025, ha cristallizzato la giurisdizione del giudice ordinario nel sindacare la condotta climatica delle imprese. La secondoa, un importante parere consultivo della Corte Internazionale di Giustizia (ICJ), ha trasformato l’obiettivo di 1.5°C da aspirazione politica a obbligo giuridico vincolante, definendo standard rigorosi di due diligence. Analizzate congiuntamente, queste decisioni segnano un punto di svolta, fornendo parametri significativi sia in termini di azionabilità e giurisdizione sia in termini di metro di giudizio per valutare la conformità delle strategie industriali e finanziarie agli obiettivi climatici.

Cassazione 2025: l’Ordinanza n. 20381 consolida la giurisdizione ordinaria nel contenzioso climatico

L’Ordinanza n. 20381/2025 delle Sezioni Unite costituisce un precedente storico per il diritto italiano, risolvendo la questione della giurisdizione nel contenzioso climatico mosso contro una grande società a partecipazione pubblica.
La difesa dei convenuti si era incentrata sull’eccezione di difetto di giurisdizione del Giudice Ordinario, sostenendo che le scelte in materia di politiche energetiche e industriali, anche se attuate da una società a controllo pubblico, costituissero atti politici o fossero comunque espressione di discrezionalità amministrativa di alto livello, insindacabili dal giudice civile. La Cassazione ha rigettato tale impostazione, riaffermando la giurisdizione del giudice ordinario.
Il nucleo della decisione si fonda sulla distinzione tra l’attività iure imperii dello Stato (atti politici insindacabili) e la condotta iure privatorum della società, anche se a partecipazione pubblica e operante in un settore strategico. La Cassazione ha ritenuto che la strategia industriale, la gestione operativa e le politiche di emissione di una società, per quanto connesse all’interesse pubblico, sono pur sempre condotte dall’impresa. Di conseguenza, il giudice ordinario è competente a valutare se tale condotta abbia violato la clausola generale del neminem laedere, ossia “non offendere nessuno” (Art. 2043 c.c.) e le norme poste a tutela dei diritti fondamentali (in particolare, il diritto alla salute e all’ambiente salubre, richiamati dagli artt. 2 e 32 Cost. e dall’Art. 8 CEDU).

L’implicazione processuale è chiara: la Cassazione ha spogliato le grandi aziende, e i loro investitori pubblici, dello scudo giurisdizionale derivante dalla presunta natura politica delle loro scelte. La corporate accountability climatica è, in Italia, materia di diritto civile, azionabile per ottenere sia risarcimenti (danni patrimoniali e non) sia, potenzialmente, ordini di reintegrazione in forma specifica (Art. 2058 c.c.), ossia l’imposizione di un adeguamento dei piani industriali.

Parere consultivo della Corte Internazionale di Giustizia: da obiettivi climatici a obblighi giuridici di condotta

Se l’Ordinanza della Cassazione ha aperto la porta del foro nazionale, il parere consultivo della Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) del luglio 2025 ha definito lo standard legale che tale foro dovrà applicare. La pronuncia, sebbene non vincolante in senso stretto, ha elevato gli obiettivi climatici a obblighi giuridici di condotta, richiedendo un livello di diligenza commisurato al rischio catastrofico e basato sulla migliore scienza disponibile.

Il parere ha operato una sintesi interpretivista, integrando l’Accordo di Parigi con il diritto internazionale consuetudinario (il principio do-not-significant-harm e l’obbligo di due diligence) e la tutela dei diritti umani.
Questo approccio potrebbe avere implicazioni dirette per aziende e investitori pubblici. In particolare, l’ICJ ha sancito alcuni principi di grande rilevanza a livello globale:

1. Obbligo di Regolamentazione del Settore Privato: lo Stato ha l’obbligo di esercitare la dovuta diligenza (due diligence) per prevenire danni climatici, anche regolamentando le attività degli attori privati che operano sotto la propria giurisdizione.

2. Condotta Rilevante: la condotta che può costituire un fatto internazionalmente illecito include l’omissione dello Stato nel prendere misure appropriate contro le emissioni; inclusa la produzione di combustibili fossili, il consumo di combustibili fossili, la concessione di licenze di esplorazione di combustibili fossili o la fornitura di sussidi ai combustibili fossili;

3. Causalità Flessibile: la Corte ha riconosciuto che l’attribuzione della responsabilità nel contesto climatico, data la natura cumulativa e diffusa del danno, non può seguire il rigido test del but-for (cioè la prova che un danno specifico non si sarebbe verificato se non fosse stato per l’emissione di un singolo attore). Ha adottato invece un criterio più flessibile che richiede un nesso causale sufficientemente diretto e certo tra l’atto illecito e il pregiudizio subito. La responsabilità potrebbe quindi astrattamente sorgere quando la condotta di uno Stato (o, per estensione, di un attore da esso controllato o non regolamentato) aumenta materialmente il rischio o la gravità del danno climatico.

Verso una nuova era di responsabilità climatica

Le due pronunce, pur provenendo da contesti diversi, sono profondamente interconnesse e indicano una direzione univoca per il contenzioso climatico contro soggetti privati e investitori pubblici. L’Ordinanza della Cassazione e il Parere della ICJ si completano infatti in modo strategico. La giustizia italiana ha la giurisdizione per giudicare la condotta delle aziende; il diritto internazionale ha fornito il parametro di legalità per tale giudizio.

Questa convergenza permetterebbe dunque al giudice nazionale di valutare la strategia di decarbonizzazione di un grande attore economico alla luce degli obblighi stringenti definiti dall’ICJ.

Ciò avallerebbe pertanto anche la tesi secondo cui un piano di transizione aziendale, se non allineato allo scenario 1.5°C scientificamente validato, potrebbe violare lo standard vincolante di due diligence (informato dal diritto internazionale) e, di conseguenza, il principio civilistico del neminem laedere.

Ciò implica un incremento della soglia di attenzione rispetto alla valutazione del rischio legale per le imprese e gli investitori pubblici, i cui piani di transizione potrebbero ora essere sottoposti a un esame giudiziario più rigoroso, soprattutto in merito al mantenimento di investimenti in nuovi attivi carbon-intensive, rispetto ai quali potrebbe essere sollevata una condotta omissiva dello Stato nel non regolamentare l’iniziativa privata in ottemperanza con i propri obiettivi e impegni climatici.

Emiliano Giovine

Emiliano Giovine è partner e co-responsabile del dipartimento “ESG & Legal Impact” dello studio RPLT RP Legalitax (Studio B Corp e membro di Torino Social Impact), Direttore Scientifico dell’area Legal Impact del Cottino Social Impact Campus e Segretario Generale della Global Alliance of Impact Lawyers (GAIL), network globale di legali che si occupano di sostenibilità, impatto e diritti umani. Inoltre è fondatore e coordinatore dell’area legale della ONG ResQ Onlus – People Saving People, già Legal Officer presso UNEP (United Nations Environment Programme) e JRC (Joint Research Center) della Commissione Europea.

Giuseppe Taffari

Partner e co-responsabile del dipartimento “ESG & Legal Impact” dello studio RPLT RP Legalitax. Si occupa di enti del Terzo settore, imprenditoria sociale, innovazione e sostenibilità. Assiste fondazioni, associazioni, cooperative ed imprese sociali in fase di costituzione, nella gestione delle attività istituzionali, nello sviluppo di iniziative di raccolte fondi, nella predisposizione di modelli organizzativi ai sensi del D.lgs. 231/2001 e nell’ambito di operazioni straordinarie e di riorganizzazione. Affianca start-up, società benefit, B-Corp e società a “vocazione sociale”, per lo studio e lo sviluppo di progetti innovativi nel settore del social business e dell’innovazione sociale, culturale e di impresa. Ha maturato, inoltre, un expertise nell’ambito delle tematiche ESG e dei profili normativi dei processi di rendicontazione sociale e misurazione d’impatto.

𝐒𝐈𝐀 𝟐𝟎𝟑𝟎 è il 𝐛𝐥𝐨𝐠 di Social Impact Agenda per l’Italia sulla 𝐅𝐢𝐧𝐚𝐧𝐳𝐚 𝐚 𝐈𝐦𝐩𝐚𝐭𝐭𝐨 𝐩𝐞𝐫 𝐠𝐥𝐢 𝐒𝐃𝐆𝐬.

Pensieri, analisi e proposte per una nuova finanza a beneficio delle persone, delle comunità e del pianeta.

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