di Paolo Venturi, AICCON-Università di Bologna

L’affermazione di un paradigma trasformativo

La costante crescita delle risorse economiche orientate all’impact investing e la diffusione repentina della valutazione d’impatto sociale nelle istituzioni pubbliche e del terzo settore ci testimoniano la rilevanza e il valore di una nuova generazione di investimenti pensati per un modello di sviluppo in cui economia e società, crescita ed equità si riconoscono interdipendenti.

La forza di questo movimento d’innovazione risiede nella radicalità delle ambizioni che lo hanno fatto nascere: per costruire transizioni buone e giuste occorre alimentare trasformazioni coerenti. Gli investitori hanno ben compreso, infatti, che è finita l’epoca che potremmo definire dei “due tempi”, in cui prima produco profitti e poi redistribuisco per compensare le esternalità negative: oggi si gioca tutto su “un” piano e su “un” tempo, quello interno alla propria catena del valore.

Le trasformazioni di cui abbiamo bisogno non possono essere appaltate a una piccola parte dei profitti, ma vanno legate alla sostanza stessa dei proventi, come a voler dire che il cambiamento sociale non è un dazio da pagare “dopo” aver generato l’utile, ma diventa un’opportunità che va nutrita “prima”, attraverso strategie che ridisegnino in profondità i meccanismi di produzione del valore.

L’esito di questa diversa prospettiva è visibile nella proliferazione di pratiche, metriche e strumenti che sperimentano soluzioni finanziarie in cui la valutazione del rischio è connessa al rendimento sociale e non solo a quello economico.

I beni privati, i beni pubblici e i beni comuni non sono più solo “contati” e monetizzati, ma iniziano a essere “pesati” per il valore e il cambiamento che generano. Un fatto, questo, decisamente nuovo e molto positivo.

Il secondo tempo dell’impact investing: trasformare le istituzioni

Dopo quindici anni, osservando la traiettoria di questo percorso si intravedono nitidamente i segnali di una nuova fase.

Quello che potremmo definire “il primo tempo” dell’impact investing sta per terminare e il lavoro da fare oggi è aprire un nuovo cantiere per rendere questo processo irreversibile.

Nel secondo tempo occorre partire dall’assunto che la sfida non può più ridursi alla sensibilizzazione e alla sperimentazione settoriale, ma occorre promuovere e far emergere con maggior radicalità quello che dovrebbe essere, perdonate la ripetizione, l’impatto dell’impatto sociale.

L’ecosistema che promuove questa visione deve essere consapevole che la partita va giocata con l’obiettivo di incidere e modificare le regole del gioco: non basta più svolgere un’azione da “minoranza profetica”, serve il coraggio e l’ambizione di uscire dalla nicchia.

Chiamare in causa le “regole del gioco” significa connettere la rivoluzione dell’impatto sociale al ruolo e alla natura delle istituzioni, come ci ricorda il premio Nobel Douglas North: “Le istituzioni sono le regole del gioco di una società o, più formalmente, i vincoli che gli uomini hanno definito per disciplinare i loro rapporti; di conseguenza danno forma agli incentivi che sono alla base dello scambio, sia che si tratti di scambio politico, sociale o economico. Il cambiamento istituzionale influenza l’evoluzione di una società nel tempo ed è la chiave di volta per comprendere la storia…”.

Il cambiamento istituzionale diventa perciò il nuovo orizzonte per misurare la trasformazione sociale generata dagli investimenti a impatto. Una prospettiva che supera il riduzionismo che tende ad assimilare questo paradigma alla sostenibilità certificata dagli indicatori ESG.

La dimensione trasformativa, infatti, non si celebra nella conformità alle metriche – pur necessarie – ma nella capacità di modificare l’esistente promuovendo nuove istituzioni economiche e sociali. Il potenziale di nuova “asset class” di strumenti finanziari orientati al sociale diventa così uno degli strumenti più evoluti per promuovere contemporaneamente lo sviluppo sostenibile e la nascita di istituzioni moderne, più inclusive.

Più semplicemente potremmo dire che l’impatto sociale non è soltanto un fattore emergente, ma istituente.  

Non solo metriche. La sfida dell’innovazione istituzionale e del change-management

Per contrastare i paradigmi estrattivi che alimentano la crescente plutocrazia, dunque, non basta più riparare i danni fatti, occorre trasformare le istituzioni, rendendole più inclusive e sostenibili.

Se nel “primo tempo” era sufficiente agire sui principi e sulla compliance delle istituzioni, oggi non lo è più. Nel secondo tempo dell’impact investing la priorità va posta sulla natura delle istituzioni e su tutta la loro catena del valore, partendo dai modelli di leadership fino ad arrivare alla misurazione del valore.

La strada dell’impatto sociale non è neutra rispetto all’identità delle organizzazioni. Le risorse orientate al cambiamento cambiano le istituzioni e le obbligano a ridisegnare mezzi e fini della propria attività. È un passaggio sostanziale che non si limita ad agire in superficie, ma che contribuisce a promuovere un autentico processo di change-management in tutto lo spettro istituzionale: 

  • nelle istituzioni pubbliche che stanno potenziando la prospettiva “mission oriented” delle loro policy, in linea con l’approccio proposto già da tempo da Mariana Mazzucato. Sta infatti emergendo una nuova generazione di amministratori e dirigenti che ridisegnano e rinominano le proprie aree funzionali e legano i propri obiettivi non solo al raggiungimento di output bensì di outcome orientati a domini di valore pubblico;
  • nelle imprese, dove è ormai evidente come la sfida della sostenibilità non si possa risolvere solo con un buon rating ESG, ma che sia necessario modificare il codice sorgente del capitalismo, come già sottolineato da Ronald Cohen e Giovanna Melandri (GSG–SIA), rendendolo più inclusivo e intenzionalmente sociale;
  • nel terzo settore e nell’economia sociale, al fine di ri-sostanziare le motivazioni intrinseche e il rapporto con la comunità, con l’intento di rigenerare l’orizzonte trasformativo che è insito nella biodiversità di queste organizzazioni terze, e su questo punto rimanderei a precedenti riflessioni che ho avuto modo di sviluppare insieme a Stefano Zamagni

Siamo all’inizio di una nuova fase, un tempo complesso e faticoso, ma ricco di opportunità. Un tempo in cui sarà necessario creare alleanze di scopo coraggiose e intraprendenti, perché il vento della conservazione e del misoneismo… non smette mai di soffiare.

Paolo Venturi

Paolo Venturi è Direttore di AICCON e The Fund Raising School e membro del Comitato Scientifico di Social Impact Agenda per l’Italia.

Docente di imprenditorialità sociale e innovazione sociale presso l’Università di Bologna (CAF in Welfare Community Manager – Master in Economia della Cooperazione) e numerose altre università ed istituzioni.

Componente del Consiglio Nazionale del Terzo settore e del Comitato Scientifico della Fondazione Symbola, Fondazione Unipolis e di Nesta Italia.

Componente del Gruppo di Esperti nominati da Ministero Lavoro, per la realizzazione della strategia italiana per la Terzo Economia, membro della Consulta della cooperazione Regione Toscana e della Consulta della cooperazione sociale della Regione Emilia-Romagna.

Autore di numerose pubblicazioni fra cui “DOVE. La dimensione di luogo che ricompone impresa e società” e “Imprese ibride. Modelli d’innovazione sociale per rigenerare valori” editi da Egea.

Componente del Comitato Scientifico di Corriere Buone Notizie, collabora con numerose testate e blog fra cui Il Sole 24 Ore, Il Corriere della Sera e Vita Magazine.

𝐒𝐈𝐀 𝟐𝟎𝟑𝟎 è il 𝐛𝐥𝐨𝐠 di Social Impact Agenda per l’Italia sulla 𝐅𝐢𝐧𝐚𝐧𝐳𝐚 𝐚 𝐈𝐦𝐩𝐚𝐭𝐭𝐨 𝐩𝐞𝐫 𝐠𝐥𝐢 𝐒𝐃𝐆𝐬.

Pensieri, analisi e proposte per una nuova finanza a beneficio delle persone, delle comunità e del pianeta.

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