di Alessia Gianoncelli, Director of Knowledge and Programs Impact Europe

Quando dieci anni fa, nel 2014, ho iniziato la mia esperienza a Impact Europe (all’epoca EVPA), il network europeo degli investimenti a impatto con sede a Bruxelles, si parlava della nostra comunità come di un mercato di nicchia. Dedicavamo i primi cinque minuti di ogni nostro intervento a spiegare cosa fosse la venture philanthropy (VP) – termine che avevamo nel nome stesso dell’organizzazione – e, successivamente, a spiegare cosa fosse l’investing for impact, termine che abbiamo adottato nel 2018 e che ha sostituito nella nostra narrativa l’analogo concetto di VP. Entrambi i termini descrivono strategie a impatto, adottate da investitori che supportano organizzazioni non-profit e imprese sociali, al fine di massimizzarne l’impatto positivo, attraverso donazioni, capitale di debito e/o partecipazioni azionarie, e offrendo loro, contestualmente, sostegno non finanziario, come, ad esempio, opportunità di formazione e/o partecipazione nei CdA delle organizzazioni stesse.

La buona notizia, ad oggi, è che negli ultimi dieci anni, il mercato degli investimenti a impatto ha attirato sempre più risorse, aumentandone trazione e credibilità, anche tra i policy makers, a livello europeo e nazionale. La finanza a impatto è vista come mezzo efficace per affrontare le odierne sfide sociali e ambientali. E le pratiche degli investitori a impatto si sono evolute per adattarsi e rispondere al meglio alle esigenze, finanziarie e non, delle organizzazioni finanziate, al fine di consentire loro di sviluppare e testare nuove soluzioni. Inoltre, misurare, ma soprattutto gestire l’impatto, ovvero utilizzare i dati raccolti per capire cosa funziona e cosa no, e per continuare a migliorare la propria strategia di investimento, prendendo decisioni informate, sta diventando sempre più una pratica comune a tutti i capital providers che vogliano effettivamente generare un cambiamento positivo.

Agenda 2030: un mondo che avrebbe potuto essere ma che non è stato?

Tuttavia, sembriamo ancora essere distanti dai traguardi che ci eravamo prefissati. Guardando agli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs), solo il 15% è sulla buona strada per essere raggiunto e, come evidenzia l’OCSE, servono ogni anno circa 4 trilioni di dollari per coprire il gap finanziario che ancora ci divide dal loro conseguimento. Il Segretario generale delle Nazioni Unite ha avvertito che “se non agiamo adesso, l’Agenda 2030 diventerà l’epitaffio di un mondo che avrebbe potuto essere ma che non è stato”. E ha sottolineato la necessità che le diverse forme di finanza lavorino insieme in modo allineato, evidenziando come l’approccio business as usual non sia più praticabile.

Guardando ai dati che Impact Europe ha raccolto in collaborazione con Social Impact Agenda per l’Italia e Tiresia-Politecnico di Milano, con diversi NABs europei ed i relativi partners accademici (in Belgio, Francia, Germania, Olanda, Regno Unito e Spagna), ed insieme al GSG – Global Steering Group for Impact Investment, si rileva che in Europa il mercato privato degli investimenti diretti a impatto è stimato a 80 miliardi di euro: si tratta dello 0.5 per cento rispetto al mercato europeo degli investimenti tradizionali. Di fronte a queste cifre diventa evidente che la strada da fare è ancora parecchio lunga. E quale può essere una risposta concreta, volta ad accelerare la riduzione di questo importante gap finanziario di risorse a impatto? Il capitale catalitico.

Come il capitale catalico può aiutarci a raggiungere gli SDGs

Se i tre pilastri della finanza a impatto sono intenzionalità, misurabilità e addizionalità – con i primi due più evidenti e maggiormente riconosciuti nel settore – mediante il concetto di capitale catalitico si cerca di spiegare concretamente l’importanza del terzo pilastro, ossia l’addizionalità, poiché essere catalitici è una delle strategie per essere addizionali, sebbene non sia l’unica. E lo si spiega in un contesto dove solo il 40% del capitale investito presenta alcuni tratti di addizionalità, sempre secondo lo studio di Impact Europe sopracitato. E lo si fa in un contesto dove la narrativa dominante, che cerca di attrarre grandi capitali e investitori tradizionali– tentativo di per sé del tutto lodevole –, caldeggia l’impact investing focalizzandosi eccessivamente sui ritorni finanziari a tassi di mercato

Dopo un lavoro di ricerca durato due anni, grazie al supporto del Catalytic Capital Consortium e al coinvolgimento di 75 organizzazioni provenienti da 17 Paesi, Impact Europe ha pubblicato un white paper sull’argomento, spiegando il significato del termine, illustrando casi concreti e sottolineandone l’importanza cruciale.  

Come definito nel report di Impact Europe, il capitale catalitico mira a colmare le lacune lasciate dalla finanza tradizionale e/o dal settore pubblico, alla ricerca di un impatto per le persone e per il pianeta che altrimenti non sarebbe stato generato. Il suo scopo è quello di partire dalle soluzioni per definire l’investimento necessario e più adatto, riducendo i rischi per gli investimenti a venire, e garantendo un cambiamento positivo e, spesso, una sostenibilità finanziaria di lungo periodo per le organizzazioni supportate. Il capitale catalitico è paziente, flessibile, propenso al rischio e addizionale. Il capitale catalitico – la cui definizione, grazie al nostro lavoro di advocacy, oggi include anche un certo tipo di grantmaking e non solo l’investimento a impatto – può:

  • aiutare le organizzazioni non-profit e le imprese sociali a sviluppare e testare il loro modello di business e creare track record;
  • attrarre ulteriori finanziamenti, ad esempio da parte di Istituzioni Finanziarie per lo Sviluppo (DFIs) oppure grandi imprese attive a livello mondiale;
  • creare un nuovo mercato all’interno di un Paese, ad esempio il caso dell’housing sociale in Italia;
  • fare leva sulle risorse pubbliche per risolvere fallimenti del mercato.

Chi sono gli investitori catalitici e come attivarsi

Possono essere investitori catalitici le fondazioni, i fondi di investimento, le piattaforme di crowdfunding, le organizzazioni non governative internazionali, le istituzioni finanziarie; l’importante è che intenzionalmente questi attori cerchino di risolvere un problema del mercato lasciato dalla finanza tradizionale e/o dall’intervento pubblico. Dev’esserci, inoltre, l’intenzione di creare un effetto catalizzatore, indipendentemente dallo strumento finanziario utilizzato e dal settore supportato. E non necessariamente il capitale catalitico deve prevedere tassi di rendimento agevolati. 

Come riportato nell’ultimo studio di Convergence, se investito in maniera strategica, il capitale catalitico potrebbe mobilizzare $286 miliardi da attori privati, sette volte di più rispetto a quello che in un anno realizzano la finanza per lo sviluppo e per il clima, e quattordici volte di più di quello che riportano annualmente le Banche Multilaterali di Sviluppo (MDBs) e le Istituzioni Finanziarie per lo Sviluppo (DFIs).  

Insomma, il potenziale di questo capitale è ancora tutto da liberare. E, al fine di raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile entro il 2030, è necessario che quanti più investitori a impatto inizino a ragionare in termini catalizzatori; e che vengano favoriti meccanismi di blended finance – di cui il capitale catalitico è ingrediente essenziale – che consentono ad organizzazioni con obiettivi diversi in termini di ritorno finanziario e di impatto, e con diversi strumenti a disposizione, di investire insieme. 

Ultimo ma non ultimo, come indicato nel nuovo “Investing for Impact Manifesto lanciato da Impact Europe  assieme a Social Impact Agenda per l’Italia e ai National Advisory Boards del Global Steering Group di Francia, Olanda, Belgio e Spagna, è fondamentale che l’Unione Europea, oltre a riconoscere il ruolo trasformativo della finanza a impatto, agisca essa stessa in ottica catalitica, attraverso politiche e normative che favoriscano il lavoro degli investitori a impatto, e attraverso sistemi di garanzie e di de-risking che attraggano sempre più finanziatori privati, che vogliano ragionare in termini di cambiamento positivo. 

Alessia Gianoncelli

Alessia Gianoncelli è Director of Knowledge and Programs a Impact Europe (ex EVPA), il network
europeo della finanza a impatto e membro del Comitato Scientifico SIA. Negli ultimi dieci anni, grazie al suo lavoro all’interno di Impact Europe, Alessia ha contribuito alla narrativa e al dibattito sugli investimenti a impatto, promuovendone lo sviluppo e supportando, tramite la ricerca, l’analisi di dati e la creazione di opportunità di formazione, gli investitori, le fondazioni e tutti gli stakeholders impegnati ad attuare un cambiamento positivo nella società. Alessia ha pubblicato diversi reports e articoli su temi quali la venture philanthropy, la misurazione e la gestione dell’impatto, l’ecosistema europeo degli investimenti sociali, la finanza ibrida. Alessia si è da sempre impegnata ad accelerare le dinamiche di generazione di impatto sociale e ambientale anche attraverso la creazione di partnerships con altri networks – tra cui Latimpacto, Asian Venture Philanthropy Network, African Venture Philanthropy Alliance, GSG – Global Steering Group for Impact Investment, Philea, Euclid Network, Global Alliance of Impact Lawyers (GAIL) – al fine di condividere buone pratiche, facilitando lo scambio di competenze e conoscenze. Parallelamente, dal 2022, Alessia lavora come consulente indipendente insieme a Gianluca Gaggiotti, sotto il marchio IMPACTips, per fornire consulenza gestionale e di misurazione dell’impatto e supportare la strutturazione di strumenti di finanza a impatto.

𝐒𝐈𝐀 𝟐𝟎𝟑𝟎 è il 𝐛𝐥𝐨𝐠 di Social Impact Agenda per l’Italia sulla 𝐅𝐢𝐧𝐚𝐧𝐳𝐚 𝐚 𝐈𝐦𝐩𝐚𝐭𝐭𝐨 𝐩𝐞𝐫 𝐠𝐥𝐢 𝐒𝐃𝐆𝐬.

Pensieri, analisi e proposte per una nuova finanza a beneficio delle persone, delle comunità e del pianeta.

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